Ogni fenomeno vivente è per definizione un fenomeno bioenergetico. I processi energetici sono antichi come la vita e la loro apparizione la possiamo far risalire alle prime manifestazioni cellulari.
Al fine di una comprensione dei processi energetici dell’uomo, mi sembra necessario ripercorrere brevemente alcuni aspetti della storia dell’evoluzione ed in particolare quello che ha portato alla comparsa del mondo delle emozioni sulla scena del cosmo.
La storia dell’evoluzione ci insegna come già le prime cellule di miliardi di anni fa già avevano sviluppato un meccanismo fondamentale di sopravvivenza con il quale motivavano un approccio verso le sostanze nutritive ed evitavano le sostanze tossiche! Questo meccanismo fondamentale sta ancor oggi alla base dell’organizzazione del nostro sistema vitale che, l’evoluzione, ha reso sempre più sofisticato, permettendo il consolidarsi ed il moltiplicarsi di schemi e comportamenti sempre più vantaggiosi per l’adattamento e la sopravvivenza della specie.
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Ai “riflessi” primitivi si sono aggiunti gli “istinti”, che hanno contribuito, con i loro programmi motori innati e con i loro automatismi, a dare sempre più spazio all’apprendimento: valga per tutti l’istinto materno. In questo spazio si è inserita un’altra fase evolutiva molto importante, la quale ha portato alla nascita ed al consolidarsi delle pulsioni che hanno reso molteplice il comportamento animale: essendo sempre più complessa la spinta evolutiva, fu richiesto ai cuccioli delle specie dei mammiferi un lungo periodo di maturazione ed apprendimento per poter poi provvedere al cibo ed al nutrimento per le loro vite. Questo nuovo fattore richiese che, per poter sopravvivere, dovessero sviluppare un forte legame o attaccamento alla madre, fonte energetica primaria e modello insostituibile d’adattamento. In questo rapporto con il mondo circostante dovettero allora forzatamente sviluppare una coloritura pulsionale estremamente variegata e differenziata, che poi diverrà lo strumento fondamentale per una successiva organizzazione ancora più complessa: quella delle emozioni, le quali rappresentano l’universo incredibilmente nuovo della storia evolutiva dell’uomo. Dalle pulsioni alle emozioni, questo è stato il vero balzo in avanti dell’evoluzione. Le emozioni hanno, infatti, contribuito in modo determinante alla formazione della neo-corteccia cerebrale. Sono state la forza tremenda che, per successive stratificazioni, ha plasmato il sentire pulsionale animale in un sentire cosciente e consapevole. È stato questo processo che ha portato lo scimpanzé arboricolo a divenire un uomo, con il suo bagaglio di strumenti sempre più specializzato. L’evoluzione del corpo è, infatti, secondo il principio unificante della bioenergetica, andata di pari passo con l’evoluzione della facoltà immaginativa che fondava finalmente la psiche, funzione di un sentire e di un conoscere dalle possibilità davvero illimitate. Nella storia evolutiva animale e poi dell’uomo sono certamente stati il piacere ed il dolore le due grandi direttrici che, con la loro tensione costante, hanno di fatto favorito la trasformazione della complessità pulsionale animale. In questi due grandi solchi scavati nel magma vitale si sono innestate prima e, sono fiorite poi, quelle coloriture emozionali che sempre più forti, hanno costituito un mondo a se stante ben definito ed organizzato. È questo mondo che, attraverso uno strumento mutuato dalla fisica quantistica, possiamo individuare e ridefinire come un “campo energetico emozionale”. È grazie a questa complessa regione sensoriale che s’instaura, per la prima volta nell’universo conosciuto, la possibilità fondante dell’individuo stesso: la coscienza. Ma – è da notare a questo proposito – per coscienza non si devono intendere i processi cognitivi, in quanto recenti rivisitazioni della scienza cognitiva ammettono che l’elaborazione delle informazioni sia satura di affettività e che la cognizione e l’emozione siano processi inscindibili dello stesso sistema dinamico. Per noi, dunque, la coscienza è un fenomeno qualitativo della psiche, anzi come scriveva Merleau-Ponty, è “un movimento profondo di trascendenza che è il mio essere stesso, il contatto simultaneo con il mio essere e con l’essere del mondo”. Se i processi energetici di base dell’uomo – e cioè la respirazione, il metabolismo e, attraverso il movimento, lo scarico dell’energia – sono gli stessi degli animali – in quanto anch’essi respirano, hanno un metabolismo e scaricano energia nel movimento – nell’uomo è subentrata, come abbiamo visto, grazie alla spinta evolutiva, una complessità del sistema nervoso e del cervello estremamente più significativa e profondamente differenziata da quella del mondo animale. È molto importante focalizzare ancora questo punto, in quanto è proprio ripercorrendo le tappe evolutive dell’uomo che possiamo ridefinire un approccio terapeutico verso di esso, costruito non più sul rapporto causa-effetto (virus-malattia), bensì fondato sulla capacità di vedere la malattia come un processo legato alla complessità psichica-emozionale dell’uomo. Possiamo ben evidenziare come l’affrontare i processi complessi e fondamentali della psiche dia evidentemente alla cura un significato più profondo di quello tradizionale. Se è vero che il ruolo delle emozioni è veramente quello fondante della coscienza, che la quale poi diviene consapevolezza, allora non potremo certo che non sottolineare quanto un lavoro terapeutico a livello emozionale complesso possa essere tanto un potente antidoto alla malattia, e questo riguarda la medicina preventiva, quanto un potente strumento terapeutico al momento in cui la malattia è ormai già insorta. Per questa fondamentale ragione, ci sembra molto riduttivo nella prassi terapeutica analizzare singole emozioni, seppur complesse, come la rabbia repressa o la paura dell’abbandono. Così operando non facciamo altro che ricondurre la profondità della psiche ad un’interpretazione estremamente razionale e povera di tessuti psichici. Proponiamo perciò d’introdurre nella prassi terapeutica uno strumento più complesso, il “campo energetico emozionale”, in quanto potenzialmente capace di suscitare immediatamente possibilità terapeutiche differenti. Esso ha, infatti, la forza immediata di proiettare il terapeuta ed il paziente in complessità psichiche più organiche. Ha cioè la facoltà d’instaurare processi di ampio respiro più aderenti allo spessore esistenziale di ogni persona. In questa dimensione, un aspetto nevrotico ha la possibilità di una risonanza psichica maggiore rispetto ad un’asciutta diagnosi che, per quanto corretta, non può, evidentemente, costellare a livello profondo nuove possibilità rigenerative. È questo un punto molto importante perché abbiamo incontrato fin troppe volte, nella nostra pratica terapeutica, persone con anni di analisi alle spalle, le quali avevano modificato solo superficialmente la loro vita e, dopo qualche tempo dalla sua fine conclamata, già incontravano le stesse difficoltà di prima. L’apporto fondamentale dell’analisi bioenergetica è stato proprio quello di individuare nel fattore energetico la chiave terapeutica basilare. Il gran merito di Alexander Lowen è stato quello d’individuare nell’energia, vista come fattore vibrante della personalità, l’elemento diagnostico che differenzia una personalità nevrotica da una sana. Questo è un punto teorico fondamentale che lo distingue dalle altre psicoterapie; come egli stesso afferma: «Il piacere di essere pienamente vivi è ancorato allo stato vibratorio del corpo». Questa è la base biologica fondante tutta la teoria bioenergetica, sulla quale è costruita poi tutta la metodica terapeutica. Basti pensare all’importanza data all’esercizio di base: il grounding. E ancora: «Il piacere di essere vivi è percepito nella piena espansione e contrazione pulsante dell’organismo e dei sistemi di organi che lo costituiscono, come l’apparato respiratorio circolatorio e digerente. È sentito come una corrente di sensazioni che riflette il fluire dell’eccitazione. È la dolce e struggente sensazione del desiderio sessuale, il lampo dell’intuizione, il desiderio intenso di contatto, il fremito dell’eccitazione». Ancora un concetto energetico: espansione e contrazione, la pulsazione come base della vita e come base dell’individuo psichicamente sano, cioè sessualmente vivo. Ma oggi occorre una nuova riflessione alla luce del cambiamento profondo che la Società ha fatto dai tempi in cui Lowen, sulla scia della teoria freudiana-reichiana, condensava nella sessualità il fulcro della pienezza vitale. Ed è questa: il piacere di essere vivi e vibranti è una gioia grandissima, ma può essere il fine ultimo, il solo significato della vita della persona? Un’ultima ed ulteriore breve riflessione sulla natura della bioenergia di cui Lowen stesso non sa e non può precisare le caratteristiche. Di quale energia si parla? Come scorre quest’energia? È una forza meccanica innata che rimane a disposizione dell’individuo-macchina oppure è una forza vitale che crea sinergie attraverso un’organizzazione strutturale di componenti molecolari, così come la fisica quantistica einsteniana lascia presupporre? In quest’ottica diventa evidente come tutti i processi corporei e psichici siano un insieme dinamico che mobilita una gran quantità d’energia. Ma quest’energia non è esterna alla materia, ma è bensì la materia stessa: le emozioni sono materia ed energia nello stesso istante! Con tutte le conseguenze terapeutiche conseguenti. In questa prospettiva la psiche diviene il sistema energetico che riflette l’organizzazione atomica del corpo con l’ovvio risultato che l’uomo non può più essere descritto come il prodotto di un assemblaggio perfetto di singole parti, bensì, a differenza delle macchine, è molto di più della somma di una certa quantità di sostanze chimiche combinate in varie forme: c’è sempre un valore aggiunto che sfugge alla dimensione uomo/macchina (e forse è questo il grosso limite della cybernetica…). Pensiamo che le “Scienze terapeutiche” dovrebbero aprirsi a questo nuovo modello, sicuramente anch’esso non definitivo, ma certamente più attuale. L’uomo non è solo una meravigliosa macchina, ma è una meravigliosa macchina psichica. Allora occorre senz’altro introdurre nuovi elementi, nuove categorie e cioè una nuova epistemologia con il suo nuovo linguaggio. Per iniziare, possiamo fare un semplice esempio: sostituire alla comune definizione dell’uomo come un mammifero appartenente agli ominidi, quella di Richard Gerber che definisce l’uomo come «un essere in equilibrio dinamico con un universo di energia e luce di varie forme e frequenze». Le conseguenze ve le lascio immaginare. Relazione su “Processi energetici e malattia” nell’ambito del simposio “Significato e senso della malattia”, XVII Congresso nazionale S.I.M.P. – Siena – 3/6 novembre 1999