Leggo con piacere, l’intervista pubblicata sul Sole 24 Ore Sanità del 2 aprile scorso alla psicoterapeuta americana Lorna Smith Benjamin Quando per curare ci vuole un abbraccio, raccolta da Guido Guidoni e Daniele Pugliese, e sono contento che abbiano dato voce ad argomenti, temi, impostazioni che, nell’empireo della psichiatria, non sono ancora adeguatamente valorizzati.
L’abbraccio come strumento terapeutico non è una novità, anzi qualcuno direbbe che è antico come le montagne e a praticarlo c’erano le persone di buon senso, animate dai sentimenti, dal coinvolgimento, dal desiderio di accoglienza per la sofferenza dell’altro.
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Che però di queste impostazioni si cominci a ragionare in un seminario di formazione per operatori organizzato da un’Azienda sanitaria locale, quella di Firenze, dove l’intervista è stata raccolta, è un considerevole passo avanti per gettare un ponte durevole fra il mondo della psichiatria e quello della psicoterapia corporea.
Questa apertura da parte di due mondi che sembrano lontani tra loro e lo scambio di conoscenze fra pratiche partite da uno stesso ceppo e poi approdate ognuna a coltivare principalmente il proprio territorio – la mente come un corpo anatomico, quindi contenente un cervello o invece un corpo “luogo” di pulsioni, sensazioni, e soprattutto emozioni , credo che favorirebbe una conoscenza più vasta di zone in parte ancora inesplorate e, soprattutto, un aiuto migliore a chi, manifestando un sintomo o solo chiedendo aiuto, sta male e soffre ed è in cerca di una sua strada.
Affermare, come fa la Smith Benjamin, che la corporeità – il “pancia a pancia” – possa innescare un mutamento in chi soffre ed ha innalzato corazze a protezione del proprio dolore, è finalmente il riconoscimento di un filone della psicoterapia, quello avviato da Wilhelm Reich e messo a punto da Alexander Lowen, che troppo spesso, ancor oggi, è considerato soprattutto una tecnica di rilassamento più che una psicoterapia vera e propria.
Di questa scuola, però, nota come Bioenergetica, è opportuno proporre due concetti basilari che sembrano restare ai margini del pensiero della fondatrice della Terapia ricostruttiva interpersonale (IRT) e, più che altro, sembrano essere estranei all’ambiente psichiatrico: il concetto delle emozioni e quello di energia.
Le emozioni sono, per dirlo in estrema sintesi, quelle manifestazioni somato-psichiche percepibili fin dalla più irrilevante tensione muscolare che nemmeno la repressione dei sentimenti o l’innalzamento dei fondamentali meccanismi di difesa, riescono a celare. Anzi il corpo, attraverso processi energetici prevalentemente di tensioni e contrazioni, le rende ben visibili nella loro manifestazione. Si tratta di qualcosa che non sottostà a quei meccanismi di “copia” che suggerisce Lorna Smith Benjamin partendo probabilmente da valutazioni desunte da casi infantili gravissimi.
L’energia è una realtà impalpabile da secoli ormai sotto gli occhi di tutti, e tuttavia, soprattutto in ambiente medico, difficile da ammettere fra i fondamenti delle tecniche meccaniche, chimiche, farmacologiche messe a punto dai seguaci di Ippocrate.
È invece proprio qui che risiede il punto di congiunzione per non scindere il corpo dalla mente, per aver consapevolezza dei due livelli su cui, secondo Lowen, opera un l’individuo adulto, quello «psichico o mentale» e l’altro «fisico o somatico», attraverso un processo di identità funzionale che permette l’unità dell’organismo e la fluidità dei suoi processi energetici.
Sono temi che se trovassero maggior spazio nella riflessione medica, psicologica e psichiatrica, non solo consentirebbero passi in avanti alla ricerca e allo studio dell’uomo, dei suoi mali e dei possibili modi di raggiungere il benessere, ma porterebbero a compimento quella coraggiosa rivoluzione avviata da Basaglia con la chiusura dei manicomi e l’accorciamento delle distanze fra “malati” e sani che necessità istituzionali, organizzative non hanno potuto accogliere nella pienezza del suo messaggio.
“Sole 24 Ore Sanità”, 7 maggio 2013